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Logo design: come scegliere il progettista giusto


Roberta Soru - 8 Febbraio 2018 - 0 commenti


In una delle mie innumerevoli sessioni notturne di web zapping, inspiegabilmente inizio a imbattermi in decine di siti di pseudo designer (?): “Finalmente il logo che hai sempre voluto”, “Progetto il tuo Branding dalla A alla Z”, “Un logo così non lo hai mai visto!”, ecco è proprio su quest’ultima affermazione che mi sono bloccata, neanch’io progettazioni del genere ne avevo mai viste!

Ho iniziato a ripercorrere la cronologia del mio browser e a leggere punto punto i servizi offerti da queste persone. La pelle d’oca ha iniziato a invadere ogni millimetro del mio corpo.

Precisiamo subito che: il logo NON è il brand!

Io capisco che a volte ci si lasci trasportare dall’entusiasmo, ma per diventare designer non basta passare mezz’ora su Pinterest e neanche avere la Creative Cloud. Un logo non è assolutamente uno scarabocchio che puoi fare in un’oretta. Dietro ci sono centinaia di regole, nozioni e competenze che la maggior parte di questi aspiranti logo designer, ignorano totalmente.

Ma allora quali sono le fasi per progettare un vero logo e cosa differenzia il lavoro di un designer da queste persone? Cercherò di spiegarvelo in questo post.

La prima fase di sviluppo non è certamente prendere ispirazione da Pinterest. È parlare con il cliente, capire cosa fa la sua azienda, quali servizi offre, da quanti anni è sul mercato, quanti dipendenti ha, chi sarebbe il suo cliente tipo se fosse il personaggio di un cartone animato. È capire come puoi con un segno raccontare tutto questo e farlo percepire al pubblico. Tutte queste informazioni sul cliente, permettono di sviluppare un brief, senza il quale nessun logo può essere creato.

La seconda fase è armarsi di foglio bianco, matita e gomma per cancellare. Disegnare segni ancora e ancora. Combinare elementi cari all’azienda, smontare e rimontare simboli, caratteri tipografici, monogrammi. Solo dopo aver sperimentato bozzetti per ore si arriva a un segno che potrà essere vettorializzato e solo li, si potrà accendere il computer e mettersi all’opera per mostrare le proposte al cliente.

logo design

Via Behance

La terza fase è di scrematura delle bozze, sceglierne un numero minimo di 3, volendo esagerare 4. Più proposte si mostrano al cliente, più sarà difficile per lui scegliere o immaginarsi un logo definitivo. Le proposte non vanno incollate alla rinfusa su un pdf senza spiegazione. Vanno sempre motivate con una didascalia, che spieghi come, quando e perché si è arrivati a quel simbolo. Solo in quel modo il cliente potrà scegliere e intravvedere la sua attività in un segno.

La quarta fase di progettazione avviene dopo la scelta del cliente della bozza. Pensare che il logo andrà bene com’è stato presentato la prima volta è sbagliatissimo. Il logo potrebbe avere errori di progettazione e risultare difficile da trattare. Mai presentare una bozza subito a colori, il logo potrebbe infatti non essere idoneo al negativo e questo lo rende inutile. La quarta fase è la più complessa di tutte, perché il pittogramma andrà rifinito, ridisegnato in proporzione allo spazio, al logotipo. Immaginato su supporti che ancora non esistono. Un designer sa che in questa fase sono fondamentali le griglie e le guide. Un logo troppo sottile, troppo spesso, senza proporzioni, non potrà mai essere scalato. Se non lo si può stampare su un cartellone pubblicitario o su una penna, che funzionalità ha?

Proposte logo Gioielleria Simeone

La quinta fase prevede lo studio del colore. Cosa piace al cliente? Quali colori potrebbero attrarre gli utenti? Il mercato di riferimento quali colori usa? I competitors? La scelta del colore va pensata, ragionata, sperimentata. Bello un logo giallo, fighissimo, ma poi sul bianco? Ops… non si legge… Il colore in logo design è scienza, ci sono regole ferree e divieti. Solo chi conosce a menadito queste regole e nozioni può osare.

Terminologia errata. Che confusione!

Un altro aspetto che mi ha colpito molto sui siti che hanno ispirato questo post, è la terminologia errata. Quasi tutti parlano di sviluppo del branding, ma il branding con il logo c’entra davvero molto poco, un cavolo a merenda! Confondere la corporate identity o immagine coordinata (biglietto da visita, carta intestata, busta commerciale, ecc.) è un errore molto grave e ho notato molto comune. Il branding non è l’applicazione del logo, ma bensì l’applicazione della marca, la sua storia, le persone che compongono l’azienda, la sua mission, la sua filosofia e il suo target. Progettare un biglietto da visita non è fare branding.

Dopo aver ben chiaro che non stiamo facendo branding, si può passare alla fatidica e molto complessa sesta fase: applicare il logo creando la sua immagine coordinata!

Tutti i supporti che andranno progettati dovranno essere pensati al millimetro:

  • Distanza del logo dal margine
  • fustelle della busta, del biglietto da visita ecc.
  • progettazione di un’eventuale texture e/o pattern
  • applicazione del logo sui mille supporti che la progettazione pubblicitaria mette a disposizione.

Corporate Id di L&C Bioessenze

Vi assicuro, per farlo non ci vuole un’ora e non basta scaricare dei bellissimi mockup dalla rete, accendere photoshop e simulare l’applicazione del logo. Perché non basta direte voi? Perché un cliente si aspetta che sia il grafico a progettare quelle fighissime soluzioni creative. Dopo che gli avrete mandato il bellissimo branding board, il cliente cosa se ne fa?? Sarete in grado di produrre la fustella di stampa del biglietto smussato di lato, inserito a sua volta in una fustella che tirandolo fuori cambia colore? Mah!

Cos’è il Branding board e a cosa serve

Branding board… inflazionato tanto quanto il termine personal branding! Ma cos’è sto coso e a cosa serve?  Il branding board è un documento in cui sono raccolti tutti gli elementi che costituiscono l’immagine grafica: logo, colori, font, motivi e immagini legati all’identità del brand. A cosa serve e soprattutto cosa se ne fa un cliente? Il branding board al cliente non serve a niente e non se ne fa un tubo, infatti se paga un grafico non gli interessa che i colori siano presentati dentro pallini carini, gli interessa capire come mettere quei colori sul logo. Se fosse stato in grado di farselo da solo non vi avrebbe assunto. Quindi perché si manda e a chi serve veramente? Si manda per presentare il lavoro al cliente, serve al grafico per capire come applicare e progettare l’immagine coordinata. Mandarlo senza arte ne parte non fa fare bella figura, confonde solo il cliente, che potrebbe chiedervi le cose rappresentate e li, sorry, casca l’asino!

Quindi cosa si deve mandare al cliente in sostanza?

Presentare il logo è bello e anche professionale, ma al cliente servono i file definitivi:

  • le fustelle di stampa del biglietto da visita;
  • le fustelle della carta intestata, della busta commerciale ecc.;
  • le texture in vettoriale;
  • i loghi in tutti i formati necessari alla stampa e al web.

Sarebbe corretto sviluppare un buon manuale d’uso del logo, con proporzioni del pittogramma e del logotipo. Proporzioni delle font istituzionali e delle font di servizio. Istruzioni per la stampa a caldo, per la stampa serigrafia, in rilievo. Come rappresentare il logo e come non rappresentarlo mai. Un manuale di minimo 20 pagine che il cliente può mandare a tutti i grafici che tratteranno il suo logo e a tutti gli stampatori che dovranno realizzarlo su mille supporti. Il branding board, postatelo su Pinterest e su Behance ma non inviatelo al cliente!

In conclusione, se un logo ha un costo minimo di 500 €, c’è un motivo. Affidare la costruzione delle fondamenta della propria immagine, a chi non distingue l’immagine coordinata dal branding o a chi predilige il Branding board al manuale d’uso del logo è una scelta intelligente? Dopo aver letto questo post, vi sentite così temerari da correre il rischio?

Mio cugino ha un gusto estetico fenomenale e fa loghi molto belli da postare su Instagram, un po’ meno belli quando poi vanno stampati su una penna!

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